La conformità dell’offerta al capitolato di gara alla luce della recente giurisprudenza amministrativa
Premessa
Per lungo tempo si è dibattuto se fosse corretto operare l’esclusione di un operatore da una gara d’appalto, non per l’assenza di requisiti generali o specifici per partecipare alla selezione, ma una mancata conformità dell’offerta rispetto ad una regola specifica del capitolato speciale.
Detta questione controversa, nel solco di un orientamento costante e consolidato, ha visto la giurisprudenza confermare per anni la correttezza dell’esclusione disposta, rilevando che “la difformità tra offerta e prescrizioni del capitolato impone alla stazione appaltante di escludere l’offerente dalla procedura di gara, senza che rilevi la circostanza che la lex specialis non commini espressamente la sanzione espulsiva per l’offerta che presenti caratteristiche difformi da quelle richieste” (in tal senso, ex multis, cfr. Cons. St., sez. V, 25 luglio 2019, n. 5260).
Poste tali premesse, i requisiti minimi fissati dagli atti di gara rappresenterebbero una condizione imprescindibile per l’assegnazione del contratto, in quanto un’offerta non conforme a tali requisiti non può essere accettata: dunque, anche se il capitolato non specifica esplicitamente l’esclusione per offerte non conformi, la giurisprudenza ha chiarito che una difformità rispetto ai requisiti essenziali comporta comunque l’esclusione, trattandosi di un’offerta che non soddisfa le condizioni minime richieste.
La soluzione ermeneutica più recente opera un evidente “cambio di rotta”: oggi, a contrario rispetto al precedente orientamento, le clausole escludenti devono essere interpretate restrittivamente - e, comunque, nel rispetto del principio del favor partecipationis e della buona fede contrattuale - escludendo, quindi, che si possano imporre agli operatori economici oneri non chiaramente esplicitati nella lex specialis di gara (in tal senso, di recente, cfr. Consiglio di Stato, Sez. V, 4/3/2025 n. 1857).
1. Sul “principio del risultato”
Da quanto emerge in premessa, in assenza di una esplicita specificazione contraria, la conformità dell'offerta al capitolato è, quindi, imposta dal principio del risultato e del favor partecipationis, come disciplinati, rispettivamente, dagli artt. 1 e 3 D.lgs. n. 36 del 2023.
Il nuovo codice, di fatti, elenca dall’articolo 1 all’articolo 12 i principi applicabili alle procedure di appalto, considerando i primi tre principi, ovvero risultato, fiducia ed accesso al mercato, quali criteri interpretativi e applicativi delle disposizioni codicistiche (v. art. 4 del decreto legislativo del 31 marzo 2023, n. 36).
I principi contenuti nei primi articoli del Codice dei contratti sono espressione di valori primari che affondano le loro radici nei precetti di cui all’articolo 97 della Costituzione e devono rappresentare la bussola per le stazioni appaltanti durante l’espletamento delle procedure di gara (cfr. sentenza 27 novembre 2024, n. 9510, il Consiglio di Stato).
In particolare, il principio del risultato (già definito dalla Corte costituzionale, con la sentenza n. 132/2024, come “espressione attuale del principio di buon andamento”), previsto dall’art. 1 del nuovo codice appalti, costituisce “criterio prioritario per l’esercizio del potere discrezionale” (v. comma 4) ed è legato da un nesso inscindibile con la “concorrenza”, in quanto funzionale a conseguire il miglior risultato possibile nell’affidare ed eseguire i contratti in “difesa” dell’interesse pubblico per il quale viene prevista una procedura di affidamento.
Inoltre, il Consiglio di Stato, con sentenza n. 1924/2024, ha aggiunto che il principio del risultato è collocato in testa alla disciplina del nuovo Codice dei contratti pubblici (inserito, appunto, nell’art. 1), in quanto principio ispiratore della stessa, sovraordinato agli altri: quale diretta conseguenza, detto principio diventa il parametro:
per valutare la legittimità delle decisioni amministrative;
per interpretare le clausole regolamentari e normative;
per orientare il bilanciamento tra forma e sostanza;
per evitare che la rigidità formale sacrifichi ingiustificatamente l’interesse pubblico.
Tale orientamento trova ormai conferma in numerose sentenze e interventi dell'Autorità Nazionale Anticorruzione (ANAC): quest’ultima, con delibera 16 dicembre 2024, n. 590, ha altresì confermato che il principio del risultato va inquadrato nel contesto della legalità e della concorrenza.
Dunque, nell’affidamento dell’appalto pubblico, tale criterio pone l’accento su aspetti quali il potere discrezionale e l’auto-responsabilizzazione della Stazione Appaltante: l’obiettivo, in seno alla P.A., è quello di attuare con la massima tempestività e nel migliore rapporto possibile tra qualità e prezzo – e comunque sempre rispettando i principi di legalità e trasparenza – il principio di rilevanza costituzionale del buon andamento e dei correlati criteri, ormai cristallizzati, di efficacia, efficienza ed economicità.
2. La discrezionalità della P.A. nell’individuazione dei requisiti tecnici e il “favor partecipationis”
Il cd. “principio del favor partecipationis” (ovvero “principio dell’accesso al mercato” rubricato all’art. 3 del D.lgs. n. 36 del 2023) deve essere contemperato con l’esigenza di predisporre regole certe a tutela della concorrenza “nel mercato” che garantiscano la parità di trattamento tra le imprese concorrenti in vista della scelta, da parte della stazione appaltante, del miglior affidatario dell’opera o del servizio.
Tale principio risponde all’esigenza di garantire la conservazione e l’implementazione di un mercato concorrenziale, idoneo ad assicurare agli operatori economici pari opportunità di partecipazione e, quindi, di accesso alle procedure ad evidenza pubblica destinate all’affidamento di contratti pubblici.
Già nel 2002 la Corte di Giustizia UE tenne a precisare che la tutela della concorrenza nel settore dei contratti pubblici “implica anche la capacità dell’impresa di stare sul mercato offrendo prodotti competitivi per soddisfare una domanda pubblica qualificata, in relazione ai sottostanti interessi della collettività, secondo la logica del contratto pubblico come strumento a plurimo impiego” (cfr. Corte di Giustizia UE, 17 settembre 2002, in causa C-513/99); detto principio è stato successivamente positivizzato dalla direttiva 2014/24/UE, la quale ha previsto, con riferimento alle capacità tecniche e professionali, che “le amministrazioni aggiudicatrici possono imporre requisiti per garantire che gli operatori economici possiedano le risorse umane e tecniche e l’esperienza necessarie per eseguire l’appalto con un adeguato standard di qualità” (art. 58, paragrafo 4).
“In materia di partecipazione alle gare di appalto la concorrenza non deve essere intesa come fine … bensì come mezzo per conseguire il miglior risultato possibile nell’affidare ed eseguire i contratti” (cfr. Cons. Stato, III, 12 ottobre 2023, n. 8896).
In tal senso, l’estensione e la portata del principio del favor partecipationis sono strettamente connesse all’ambito di discrezionalità, riconosciuto alla p.a., nella previsione dei requisiti di partecipazione che devono essere posseduti dalle imprese concorrenti e, in assenza, delle correlative cause di esclusione dalla procedura.
È, quindi, proprio la dialettica fra tutela della concorrenza e perseguimento dell'interesse pubblico primario a conferire all’Amministrazione l’ampia discrezionalità nella selezione dell'oggetto e delle caratteristiche tecniche dell'appalto, in funzione degli standards organizzativi e di efficienza delle relative prestazioni), dovendo l'offerta adattarsi alla domanda e non viceversa (cfr. Cons. Stato, III, ordinanza 26 giugno 2020, n. 3757).
Come recentemente rammentato dal Consiglio di Stato (sentenza n. 9398 del 2 novembre 2023), l’Amministrazione è vincolata all’applicazione del principio di favor partecipationis, che tutela la libera concorrenza alle procedure di evidenza pubblica e impedisce alle stazioni appaltanti l’introduzione di regole che restringono la possibilità per gli operatori economici di presentare offerta idonea (Cons. Stato, sez. III, 13 dicembre 2022, n. 10932), nel rispetto dei principi di proporzionalità, ragionevolezza e non estraneità rispetto all’oggetto di gara (sui limiti all’inserimento di requisiti tecnico-professionali dell’impresa, cfr. Cons. Stato, sez. VI, 12 luglio 2023, n. 6826; Cons. Stato, sez. V, 8 agosto 2023, n. 7649).
L’esatto punto di equilibrio, in materia di concorrenza, non è dato, infatti, dal numero degli operatori economici concorrenti alla gara, ma dalla capacità di tali soggetti di offrire il preciso prodotto richiesto, rispettando le esigenze della Committente, le quali ovviamente devono essere ragionevoli e proporzionate (cfr. Corte di Giustizia UE, 17 settembre 2002, in causa C-513/99).
Di conseguenza, quanto più elevato risulterà essere il grado di complessità tecnica e professionale dell’oggetto della gara di appalto, tanto più stringenti risulteranno le competenze richieste agli operatori economici aspiranti aggiudicatari; in ragione di tale impostazione, la giurisprudenza amministrativa ha introdotto un autonomo criterio interpretativo della lex specialis delle procedure di gara: il criterio, appunto, del favor partecipationis.
L’interprete deve, dunque, conformare la propria attività ermeneutica a tale principio, favorendo l’applicazione della disposizione che consenta la massima partecipazione possibile alla procedura (cfr. T.A.R. Lazio – Roma, sez. II, 03/12/2020, n.12968; Cons. St., sez. V, 14 aprile 2020 n. 2400).
Tale impostazione trova riscontro nella ratio pro-concorrenziale dell’ordinamento degli appalti pubblici, che impone di privilegiare la massima partecipazione alle gare, salvo che ricorrano cause ostative chiaramente enucleate nella disciplina di gara.
Il principio della più ampia partecipazione è declinato all’interno del Codice dei Contratti nell’ambito dell’art. 10, comma 3, per cui non è possibile introdurre requisiti speciali, economico-finanziari e tecnico-professionali non attinenti e non proporzionati all’oggetto del contratto da affidare, anche in considerazione del prevalente interesse pubblico ad ampliare il più possibile la platea dei potenziali concorrenti.
Ebbene, “l’applicazione del principio del favor partecipationis costituisce un criterio di interpretazione e, come tale, può trovare applicazione solo a fronte di clausole ambigue, suscettibili di plurime interpretazioni. Diversamente, se chiare, nonché ragionevoli e proporzionate, (…) le clausole relative ai requisiti di capacità economica e tecnica non possono essere considerate anticoncorrenziali”; per tale criterio, a fronte di più possibili interpretazioni di una clausola contenute in un bando o in un disciplinare di gara, va sempre preferita la scelta ermeneutica che consenta la più ampia partecipazione dei concorrenti (cfr. Cons. Stato, sez. III, 9 marzo 2022, n. 1698).
Ciò in ragione della necessità di applicare i criteri di proporzionalità e di ragionevolezza, con la finalità di escludere soluzioni interpretative eccessivamente restrittive ed anticoncorrenziali, per cui, in caso di dubbi interpretativi, deve essere sempre preferita la soluzione che consenta la massima partecipazione alla gara (così secondo Cons. Stato, sez. V, 17 febbraio 2022, n. 1186; V, 25 marzo 2020, n. 2090).
In base a tali principi, se esistono due diverse possibili interpretazioni della lex specialis di gara (ed entrambe risultino astrattamente compatibili con il significato strettamente letterale di quest’ultima), occorre privilegiare quella che meglio tutela il principio del favor partecipationis.
3. L’offerta si può considerare comunque conforme al capitolato in assenza di esplicita difformità?
Per quanto parrebbero chiari i criteri sopra esposti, non è possibile scongiurare l’insorgere di evidenti dubbi circa il modus da adottare quando si presenti una difformità dell’offerta tecnica rispetto al capitolato: tale circostanza porterebbe, in automatico, l’operatore economico ad essere escluso dalla gara? E se la lex specialis non dovesse prevedere una clausola di esclusione, come tutelare l’impresa senza che la decisione adottata risulti potenzialmente lesiva per il concorrente?
Si è detto che l’applicazione del principio del “favor partecipationis” costituisce un criterio di interpretazione e, come tale, può trovare attuazione solo a fronte di clausole che, per la loro intrinseca ambiguità, siano suscettibili di plurime interpretazioni.
Le stazioni appaltanti sono tenute ad inserire nella documentazione di gara le specifiche tecniche ed elaborare le clausole contrattuali finalizzate al conseguimento degli obiettivi dell’Amministrazione, ma non è certamente possibile scongiurare ipotesi in cui le dette clausole risultino controvertibili e vi sia confutazione circa l’interpretazione delle stesse in quanto “ambigue” ovvero, comunque, variamente interpretabili.
Quanto deve essere dettagliata l’offerta? Occorre riportare tutte le prescrizioni del capitolato?
Nel prosieguo si cerca di far luce sull’orientamento interpretativo dominante.
4. Il punto di vista dell’ANAC
Cerchiamo, anzitutto, di comprendere se – e quanto - sia giusta l’esclusione quando l’offerta non corrisponde a quanto richiesto nel Capitolato Speciale di Appalto e negli atti di gara.
Nella Delibera n° 590 del 19 dicembre 2023 l’Autorità Nazionale Anticorruzione tenta di offrire una soluzione chiarificatrice sul punto e, dinanzi all’ipotesi di difformità tra l’offerta e le prescrizioni del capitolato operata dall’operatore economico ha espresso il proprio punto di vista: appare legittimo, secondo l’Anac, il potere in capo alla stazione appaltante di esercitare l’azione di esclusione del concorrente dalla procedura di gara, senza che rilevi la circostanza che la lex specialis non commini espressamente la sanzione espulsiva per l’offerta che presenti caratteristiche difformi da quelle richieste.
Ebbene, il caso di specie disciplinato nella cennata delibera riguardava una procedura aperta telematica per l'acquisizione di sistemi diagnostici e test necessari all'attuazione di un programma di screening da destinare alle strutture sanitarie di una regione, ove l'istante aveva contestato la sua esclusione dalla gara, disposta dalla stazione appaltante perché l'offerta presentata non ottemperava alle indicazioni contenute nel capitolato speciale di appalto.
L’Anac confermava la correttezza dell’esclusione disposta, dal momento che la riscontrata difformità dell’offerta tecnica “non potrebbe essere corretta o emendata in sede di stipula del contratto, come obiettato dall’appellante, dovendosi applicare, nella fattispecie, il (pacifico) principio secondo cui il regolamento contrattuale da stipulare tra aggiudicatario e amministrazione appaltante deve rispecchiare fedelmente contenuti dell’offerta aggiudicataria (e questa, come si è veduto, deve essere conforme alle caratteristiche indefettibili prescritte dalla legge di gara)”.
A contrario, l'istante affermava che non ricorrevano i presupposti fondanti l’esclusione dal momento che non era esplicitata a chiare lettere, “a pena di esclusione”, alcuna sanzione/violazione nella lex specialis di un requisito previsto.
L'ANAC, con la delibera del 19/12/2023, n. 590, ha contestato tali assunti svolgendo le seguenti considerazioni:
l’ordinamento riconosce alla stazione appaltante la discrezionalità nella definizione delle condizioni di gara, affinché sia possibile selezionare il contraente che con la propria offerta meglio risponde alle esigenze che l’amministrazione stessa persegue attraverso l’aggiudicazione del contratto; tale discrezionalità, come noto, non è sindacabile nel merito, con il rispetto del limite della proporzionalità e della ragionevolezza, oltre che della pertinenza e congruità dei requisiti prescelti in relazione alle caratteristiche dello specifico oggetto di gara;
le difformità dell'offerta tecnica rivelatrici della inadeguatezza del progetto proposto dall'impresa offerente rispetto ai requisiti minimi previsti dalla stazione appaltante per il contratto da affidare, legittimano l'esclusione dalla gara e non già la mera penalizzazione dell'offerta nell'attribuzione del punteggio, perché determinano la mancanza di un elemento essenziale per la formazione dell'accordo necessario per la stipula del contratto (tra le altre, si veda Sent. C. Stato 04/08/2022, n. 6840);
con riferimento alle specifiche tecniche, ai sensi dell’art. 79 del D. Leg.vo 36/2023 e dell’Allegato II.5, è previsto che le stazioni appaltanti non possono escludere un'offerta per il motivo che i lavori, le forniture o i servizi offerti non sono conformi alle prestazioni o ai requisiti funzionali, se vi ottemperano in modo equivalente.
Nel caso di specie, non risultava che l’operatore economico avesse fornito alcun riscontro in tal senso nella propria offerta.
Posto quanto sopra, l'ANAC ha ritenuto corretta l’esclusione dell’istante dalla procedura di gara in oggetto, risultando l’offerta tecnica presentata non sufficientemente dotata di un complesso di caratteristiche definite indispensabili nella lex specialis.
In via generale, l'ANAC ha ribadito che la difformità tra l’offerta e le prescrizioni del capitolato impone alla stazione appaltante di escludere l’offerente dalla procedura di gara, senza che rilevi la circostanza che la lex specialis non commini espressamente la sanzione espulsiva per l'offerta che presenti caratteristiche difformi da quelle richieste.
I requisiti minimi fissati dagli atti di gara rappresentano, dunque, una condizione imprescindibile per l’assegnazione del contratto, in quanto un’offerta non conforme a questi requisiti non può essere accettata; anche se il capitolato non specifica esplicitamente l’esclusione per offerte non conformi, tale assunto è stato, nel tempo, pure avallato dalla giurisprudenza dominante, la quale ha chiarito che una difformità rispetto ai requisiti essenziali comporta comunque l’esclusione, trattandosi di un’offerta che non soddisfa le condizioni minime richieste.
5. La recente rilettura del Consiglio di Stato
La nuova pronuncia della Quinta Sezione del Consiglio di Stato (n. 1857 del 4/3/2025), in linea con un orientamento giurisprudenziale più recente, riafferma il principio secondo cui le clausole escludenti devono, invece, essere interpretate restrittivamente e in conformità ai canoni della buona fede contrattuale e del favor partecipationis, dovendo escludersi che possano imporre agli operatori economici oneri non chiaramente esplicitati nella lex specialis.
Da qui il richiamo, operato dal decisum in esame, al principio di matrice codicistica di “conservazione del contratto” (art. 1367 c.c.): secondo la Sezione, infatti, l’interpretazione dell’offerta deve avvenire alla luce di tale principio, secondo cui, in caso di dubbio, le clausole devono interpretarsi nel senso in cui possano produrre effetti, piuttosto che in quello che ne comporti l’inefficacia.
Di fatto, le offerte presentate nell’ambito di un appalto pubblico vengono interpretate, come tutti gli atti relativi ad una trattativa, secondo le regole previste dal Codice Civile sull’interpretazione dei contratti.
In ossequio a tale regola, la sentenza ha chiarito come le offerte dei partecipanti alle gare pubbliche - laddove non contengano esplicitamente elementi di difformità, idonei a tradursi in una inammissibile controproposta - devono interpretarsi come conformi al capitolato.
Il Consiglio di Stato, nella sentenza indicata, lo afferma chiaramente: il dato lacunoso va inteso come conforme a quanto richiesto dall’ente.
E’ qui che la sentenza assume un rilievo di sistema con una innovativa chiusura ermeneutica basandosi sulla buona fede e limiti alle clausole escludenti: in assenza di un’espressa previsione di esclusione per la mancata indicazione analitica di determinati elementi tecnici, l’offerta non può essere sanzionata con l’estromissione dalla gara.
Il criterio di conservazione del contratto, infatti, induce a ritenere che la sanzione di esclusione del concorrente non sia legittimamente automatica ed impone alle stazioni appaltanti di privilegiare interpretazioni che preservino l’efficacia dell’offerta, salvo evidenti scostamenti, posto che “laddove l’offerta non rechi espliciti elementi di difformità tali da costituire una controproposta inammissibile, essa deve essere presunta conforme al Capitolato, in applicazione congiunta dei principi di cui agli artt. 1 e 3 del D.lgs. n. 36/2023 (principio del risultato e favor partecipationis)”.
In poche parole, ciò sta a significare che, di fronte a clausole ambigue e/o contraddittorie, si impone di privilegiare l’interpretazione favorevole all’ammissione alla gara invece di quella che determina l’esclusione dell’offerente.
Quale ovvio corollario, l’interesse pubblico correlato alla tutela della concorrenza deve essere percepito per quella che è la sua reale essenza, ossia il suo essere funzionale alla tutela dell’interesse dell’Amministrazione all’acquisizione di beni o servizi destinati a soddisfare le specifiche esigenze della collettività di cui essa è attributaria (cfr. Cons. Stato, V, 12 gennaio 2023, n. 441).
6. Conclusioni
Conclusivamente, posto quanto sopra, l'ANAC ha ribadito che la difformità tra l’offerta e le prescrizioni del capitolato impone alla stazione appaltante di escludere l’offerente dalla procedura di gara, senza che rilevi la circostanza che la lex specialis non commini espressamente la sanzione espulsiva per l'offerta che presenti caratteristiche difformi da quelle richieste.
Non è dello stesso avviso l’odierna giurisprudenza, la quale è arrivata ad una soluzione esattamente contraria a tale pensiero, volta a garantire – in un’ottica senz’altro più moderna ed “elastica” – la conservazione dell’aggiudicazione (rectius, del contratto) piuttosto che la sua inefficacia (e, correlativamente, l’esclusione del concorrente), senza con ciò andare a minare il potere discrezionale della Pubblica Amministrazione.
In buona sostanza, le offerte dei partecipanti alle gare pubbliche, laddove non contengano esplicitamente elementi di difformità, idonei a tradursi in una inammissibile controproposta, devono interpretarsi come conformi al capitolato, in virtù della regola ermeneutica di conservazione degli effetti, di cui all’art. 1367 c.c., ed in ossequio al principio del risultato e del favor partecipationis.
L’Amministrazione - pur essendo vincolata all’applicazione del principio di favor partecipationis, che tutela la libera concorrenza alle procedure di evidenza pubblica e impedisce alle stazioni appaltanti l’introduzione di regole che restringono la possibilità per gli operatori economici di presentare offerta idonea - ben può adottare regole di gara che, nell’esercizio dell’ampia discrezionalità in materia, possano garantire il perseguimento dell’obiettivo finale e siano meglio rispondenti alle esigenze della stazione appaltante.
Alla P.A. è, quindi, garantita un’ampia discrezionalità nell’individuazione dei requisiti tecnici, purché la loro previsione sia correlata a circostanze giustificate e risulti funzionale rispetto all’interesse pubblico perseguito.
Ebbene, parrebbe che il Consiglio di Stato, nel fornire tale rinnovata lettura, voglia sostenere che si debba guardare essenzialmente alla “sostanza” piuttosto che alla “forma”: la genericità della clausola di esclusione contenuta nel capitolato di gara (non riferita espressamente a specifici requisiti dell’offerta tecnica) non consentirebbe, infatti, di qualificare automaticamente quale “requisito minimo inderogabile” (con conseguente sanzione espulsiva per il caso di violazione) ogni sua disposizione.
Ne discende che operare poi con un’interpretazione fortemente restrittiva potrebbe rivelarsi un’arma a doppio taglio: sia per l’amministrazione (che dovrebbe annullare il contratto e riattivare la procedura di selezione dell’affidatario), che per il concorrente, leso dall’annullamento della sua aggiudicazione.
Ebbene, alla luce della recente formulazione operata dal Supremo Collegio, si può dire che, in caso di genericità della lex specialis di gara, la qualificazione dell’offerta può assumersi come “non ambigua” – e, quindi, non contestabile (né, ancor peggio, punibile di esclusione) se “[…] l’offerta formulata … non presenta alcun margine di ambiguità relativamente al dato quantitativo, che deve necessariamente intendersi conforme a quello richiesto dalla stazione appaltante”.