Avvalimento premiale e certificazione di genere: analisi di un contrasto giurisprudenziale
Introduzione
Fine modulo
L’avvalimento premiale può avere ad oggetto anche la certificazione di parità di genere (criterio di valutazione obbligatorio a norma dell’art. 108 del dlgs. 36/2023)?
La giurisprudenza, interrogatasi sul tema, è giunta a due soluzioni contrastanti.
Risponde in senso positivo il TAR Marche, ritenendo applicabili all’avvalimento premiale le regole dell’avvalimento tradizionale, nell’ambito del quale l’avvalimento delle certificazioni è (quasi) pacificamente ammesso.
In senso negativo il TRGA Bolzano ritiene non applicabili le regole sull’avvalimento tradizionale, sottolineando che solo le risorse materiali potrebbero essere oggetto di avvalimento premiale, e non anche quelle immateriali, come tali escluse dall’oggetto del prestito.
Sommario
- La tesi positiva del TAR Marche
- La tesi negativa del TRGA Bolzano
- Critiche e Conclusione
La tesi positiva del TAR Marche.
Il TAR Marche (TAR Marche, sez. I, 7.11.2024 n. 862) muove dalle considerazioni espresse dalla giurisprudenza amministrativa in materia di avvalimento della certificazione di qualità.
In particolare, sul tema si è affermato che, quando la certificazione di qualità è richiesta come requisito di partecipazione, essa può essere oggetto di un prestito alla condizione che il contratto preveda la messa a disposizione di tutte le risorse che hanno consentito il riconoscimento dei presupposti per l’emissione. Sul punto, nonostante l’emersione in alcune isolate pronunce della tesi contraria, non si ravvisano tentennamenti del Consiglio di Stato, e anche l’ANAC, dopo le prime incertezze, si è attestata sulle posizioni del Supremo Consesso.
Il TAR evidenzia di essere consapevole delle differenze tra le due certificazioni ma, allo stesso tempo, ritiene che queste presentino delle analogie tali da consentire l’applicabilità degli stessi principi ad entrambe. Infatti:
- a) La certificazione di qualità è volta a migliorare l’efficacia e l’efficienza dei processi aziendali;
- b) La certificazione di parità di genere ha la stessa funzione, ma limitatamente alla valorizzazione della componente femminile.
Pertanto, il TAR non dubita dell’ammissibilità dell’avvalimento premiale anche per la certificazione di genere (così come non dubita dell’ammissibilità dello stesso per le certificazioni di qualità).
La tesi negativa del TRGA Bolzano.
Il TRGA Bolzano (TRGA Bolzano, 4.11.2024 n. 257), preliminarmente, evidenzia che l’art. 108 ha previso l’obbligo per le Stazioni Appaltanti di inserire il possesso della certificazione di parità di genere come criterio di valutazione premiale.
Questa certificazione attesta delle condizioni dell’impresa, consistenti nelle modalità di misura, rendicontazione e valutazione dei dati relativi al genere al fine di colmare i divari rilevati e modificarli, con successive verifiche sugli stati di avanzamento biennali.
Si tratta, quindi, non tanto di processi quanto di condizione soggettive delle imprese che, come tali, non possono essere assimilate a risorse materiali oggetto del prestito. E d’altronde, anche a voler presupporre il prestito di queste risorse presupposte, difetterebbe il successivo controllo degli organismi accreditati sulla loro attuazione, che costituisce parte fondante il processo.
Pertanto, un contratto di avvalimento premiale che abbia ad oggetto la certificazione di parità di genere non comporterebbe alcuna rispondenza dello stato dell’impresa al contenuto della stessa e, come tale, sarebbe inammissibile.
Critiche e conclusioni.
Preliminarmente occorre evidenziare che in sede di emanazione del Codice del 2023 il legislatore ha sottovaluto la peculiarità dell’avvalimento premiale. Infatti, la regolamentazione prevista dall’art. 104 è sostanzialmente unitaria, differenziandosi unicamente per:
- a) La regolamentazione del prestito delle autorizzazioni, con una specifica previsione laddove richieste come requisito di partecipazione;
- b) La regolamentazione della partecipazione congiunta di ausiliaria e ausiliata, vietata solo nel caso di avvalimento tradizionale (divieto che dovrebbe essere attenuato con il correttivo).
Il legislatore sembra quindi essersi mosso da un presupposto, ossia quello di una agevole trasferibilità delle regole che dominano l’avvalimento tradizionale all’avvalimento premiale puro, del tutto sconnesso dall’acquisizione di requisiti partecipativi da parte della stessa ausiliaria. Il che, invero, è agevole per il prestito dei requisiti materiali ma non anche per quelli immateriali, che richiedono una attenta valutazione caso per caso sulla reale possibilità del trasferimento in questione.
D’altronde, una semplice analisi del percorso giurisprudenziale che aveva riconosciuto l’ammissibilità del prestito delle risorse immateriali avrebbe fatto agevolmente intuire come, tolta la copertura eurounitaria delle direttive (che obbligano a rendere avallabili tutti i requisiti diversi da quelli generali e di idoneità professionale), si sarebbe riaperte le perplessità espresse da parte della giurisprudenza amministrativa, come è stato nel caso oggetto del TRGA Bolzano, con conseguenti gravi incertezze per gli operatori economici.
A parere di chi scrive, invero, la tesi corretta è quella espressa dal TAR Marche. Se si muove, infatti, da una regolamentazione unitaria dei due istituti, non si può che concludere che il legislatore abbia voluto affermarne una comunanza di principi, comunanza che impone, come correttamente riconosciuto dal TAR, di affermare per analogia l’avvalimento sulla certificazione di genere.
D’altronde, la tesi sulla non avallabilità delle certificazioni in quanto attestanti il modo d’essere dell’impresa era già stata più volte confutata, perché il modo d’essere di un’impresa, come tutti i beni immateriali, si risolvono nei beni materiali che li presuppongono, come è logicamente desumibile (non si può pensare ad un know-how non fondato su protocolli, esperienze professionali del personale, direttive, dirigenza ecc.). E così è anche per la certificazione di parità di genere, dove invero le prassi seguono protocolli scritti e personale deputato alla vigilanza e al rispetto delle stesse. D’altronde, ancora, nulla vieta che l’organismo di certificazione consideri nelle sue valutazioni anche le modalità con cui i protocolli vengono adottati e applicati anche verso terzi, come accade nelle imprese in cui le unità addette al rispetto dei protocolli sono quelle della capogruppo sulla base di contratti di services.
Al di là delle considerazioni espresse, non resta che prendere atto del contrasto e, in attesa di pronunce del Consiglio di Stato, evitare il ricorso a strumenti pericolosi che possono determinare l’esclusione del concorrente, ricorrendo invece ad altri come, ad esempio, l’inclusione nel raggruppamento del soggetto che possieda la certificazione (se il punteggio è attribuito anche nel caso di possesso in capo ad un singolo componente). Non si può invece sperare in un intervento correttivo: nonostante un articolo 104 caratterizzato da criticità, rinvii normativi erronei, descrizione contenutistica del contratto non adattabile all’avvalimento di garanzia (dovuta alla futura scomparsa dei requisiti di capacità economica-finanziaria) gli interventi sul tema sono ridotti. A meno di sorprese che, in effetti, ad oggi non sono mancate.
